È più realista del re il Marco Polo immaginato da Gianluca Barbera, specie nel contare le fortune accumulate di corte in corte, lasciando signori e cortigiani a pendere dalle sue labbra. Dopo il successo di Magellano, che sarà inscenato nei teatri italiani dalla compagnia di Cochi Ponzoni, l’autore reggiano torna in libreria con il romanzo Marco Polo, edito sempre da Castelvecchi.
L’approccio al racconto in prima persona ricorda il tono appassionato e coinvolgente di Garcia Marquez, benché Barbera non abbia niente a che fare con il realismo magico. Se un’invenzione narrativa aveva rischiato di condannare l’avventura di Magellano, qui consente a Polo di vivere meglio, alla faccia dei materialisti e di chi continua a venerare il denaro.
Il Marco Polo di Barbera deve la sua fortuna al coraggio di essere partito o alla sua sfrontata fantasia?
«È come un antico aedo, un cantore delle umane vicende nei secoli. La sua funzione è quella di generare e preservare il mito, ciò che resta del passato. Le Termopili, il sogno incontenibile di Alessandro, la prima circumnavigazione del globo a opera di Magellano nel tempo si sono trasformati in miti, dei quali l’uomo si è nutrito per superare se stesso, per spingersi oltre i propri limiti».
Il suo nuovo protagonista è ancora più contraddittorio del primo; tra ciò che dice di essere e ciò che è davvero c’è l’abisso dei mari che vanta di aver solcato. È una questione personale?
«Credo che alla base delle relazioni umane ci sia l’insincerità. Filosofi e letterati di ogni epoca hanno paragonato l’esistenza a un’imprevedibile quanto tragica commedia, e hanno parlato dell’uomo come maschera. Ecco perché metto in scena impostori, truffatori, imbroglioni, personaggi doppi».
Svariati studiosi nei secoli hanno messo in dubbio la veridicità del “Milione”…
«In molti hanno sostenuto che Marco Polo non fosse mai stato in Cina e che avesse fantasticato o riportato racconti altrui. Il mio protagonista non è un millantatore; semmai è un uomo universale, un sublime visionario. Non importa se ciò che racconta non è accaduto a lui. È comunque accaduto. Ciò che resiste all’oblio è la narrazione, il mito».
Che il viaggio del mirabolante veneziano sia vero o meno poco importa, specie per gli effetti che avrà sulla realtà. Perché?
«Marco Polo è il simbolo di chi considera la vita una grande possibilità per liberare tutte le proprie energie e potenzialità. Colui che mise in collegamento l’Occidente con l’Oriente nel nome della civiltà, lontano anni luce da progetti di conquista, di conversione o similia. La sua curiosità, il suo rispetto, la sua profonda gentilezza verso le tradizioni e le credenze altrui convinsero il cuore del Gran Khan e lo spinsero a fare di lui il suo primo ambasciatore nel mondo».
Conoscere per migliorarsi è un modus vivendi, è un approccio quotidiano alla scoperta, è lasciarsi ispirare senza freni ideologici, tanto meno materiali.
«Credo che esistano almeno due tipi di libertà: una interiore, verso se stessi, l’altra esteriore, ossia diretta agli altri. Marco Polo le possedeva entrambe. Per questo è rimasto un modello per tanti individui».
Prima Magellano poi Polo: cosa la spinge a stanare le ombre della storia, i suoi margini sconosciuti?
«Due credo siano le ragioni. Primo, attraverso il passato intendo trattare del presente. E credo che questo sia il modo migliore per farlo, prendendone le dovute distanze per essere più obiettivo. Secondo, desidero riaccendere l’immaginazione del lettore, prendendomi cura del lato avventuroso che è in ciascuno di noi». –