REGGIO EMILIA. Rossi, gialli, blu e marroni. Sono i portafogli rubati o smarriti nelle località di mare - soprattutto in Riviera Adriatica, ma convogliano qui quelli rinvenuti in tutta Italia - dai reggiani, catalogati e custoditi dall’Ufficio Oggetti Smarriti, situato all’interno dei magazzini comunali di via Mazzacurati 11 e gestito con zelo e perché no affetto da Ciro Zeno e da Cristiana Onfiani.
All’Ufficio spetta il compito, non facile, di rintracciare i proprietari. «Se i portafogli contengono documenti il risultato si ottiene. Ma se, come questo borsello nero, dentro ci sono 20 euro e nient’altro, nemmeno una tessera Coop, diventa un’impresa impossibile». I portafogli di scorta, senza documenti, che i reggiani possono usare per recarsi in spiaggia sono destinati a rimanere smarriti. Ma anche la presenza di documenti e di un indirizzo di residenza pone dei problemi. «La tempistica è fondamentale: chi ha subìto un furto o smarrito il portafoglio nel giro di venti giorni-un mese riesce a rifare i documenti. Noi dobbiamo arrivare prima, il nostro servizio è basato sulla velocità ed è utile solo se si avvisa subito. Perciò cerchiamo, con tutti gli strumenti possibili compresi i social network, di risalire al telefono del proprietario».
Spesso il “caso” viene risolto grazie alla polizia municipale o ai carabinieri, che si prestano a recarsi a quell’indirizzo. «Questo fa onore agli agenti, che ci danno una grossa mano». Solo se tutti i tentativi di contattare il titolare si rivelano un vicolo cieco i responsabili si arrendono e inviano una lettera a domicilio all’interessato, «come la ragazza, che non trovo, intestataria di una tessera sanitaria. Inviamo una lettera perché gli oggetti possono essere ritirati solo qui, nella consapevolezza però che a quel punto è passato sicuramente oltre un mese e quel documento sarà stato rifatto». Sebbene Reggio Emilia non sia una meta turistica qui arrivano pure documenti stranieri. «Mi è capitato di rintracciare un olandese, una francese, uno spagnolo e perfino un’americana. Un colpo di fortuna ha riguardato due thailandesi che abbiamo rintracciato tramite Facebook: in partenza, avevano dimenticato accanto alla portiera dell’auto una borsa con maglioni, due passaporti e un I-Pad di valore. Un loro amico reggiano è venuto a ritirare la borsa».
CELLULARI E COMPUTER. Le scatole sono piene zeppe di computer portatili, I-Pad e cellulari, ma le misure di sicurezza dell’odierna tecnologia costituiscono un ostacolo insormontabile. «Con i cellulari analogici era facile: li accendevi, scorrevi la rubrica, chiamavi il numero “mamma” o “papà” e il gioco era fatto. Ora, con il riconoscimento facciale o digitale, questi oggetti sono bloccati e noi abbiamo accesso alla banca dati delle forze dell’ordine per visionare se è stata sporta denuncia. L’unica speranza di risalire al proprietario è che si faccia vivo lui. Dispiace perché alcuni sono modelli di valore, con I-phone da mille euro». Ed è per questo che cellulari e computer sono destinati a restare qui.
CHIAVI. Stessa prospettiva infausta per le chiavi. Sulla parete dell’ufficio campeggia un pannello di sughero con appese, mese per mese, mazzi di chiavi dal passato incognito, destinato a rimanere tale visto che nessun elemento può condurre al proprietario, che ci si immagina chiuso fuori casa. O alle prese con una duplicazione onerosa se si tratta di chiavi della macchina: il duplicato codificato che si può chiedere al marchio automobilistico costa fino a 250 euro.
TARGHE. Al contrario ritrovano sempre la via di casa le targhe, «per fortuna, visti i rischi connessi alla re-immatricolazione». Basta una verifica tramite la Motorizzazione per restituire targhe di auto, di ciclomotori o di traini per i vacanzieri, «come quest’ultima – e Cristina Onfiani ce la mostra – per trasportare bici, che sarà riconsegnata nel pomeriggio».
BICICLETTE. Ecco, le biciclette: è il motivo per il quale l’Ufficio Oggetti Smarriti è noto tra i reggiani, che per tradizione fiutando l’affare accorrevano in massa in via Mazzacurati ad ogni asta in presenza di due ruote. Non è più così: tra officine di riuso, la concorrenza delle aste giudiziarie del tribunale e il Covid l’ultima asta risale addirittura al 2016. «I reggiani ci conoscono per questo motivo. Ognuno di noi è stato depredato della bici almeno 3-4 volte nella vita. Ogni tanto capita che un signore al quale, ad esempio, hanno rubato una bici nera, che ci chiede se ne abbiamo una simile da acquistare; ma non funziona così. Per organizzare le aste servono 100-150 modelli in buono stato, mentre quelle che abbiamo sono fatiscenti e non integre. Mancano dei pezzi, altrimenti verrebbero vendute sottocosto e non abbandonate». Nell’ottica del riutilizzo è stato avviato un progetto con le strutture carcerarie non solo locali. «Le bici non reclamate che, dopo un anno, vengono acquisite a patrimonio comunale vengono donate ad associazioni che lavorano con i detenuti. I reclusi le smontano e, da tre telai in cattivo stato, ne ricavano quasi nuovo». Giorni fa i responsabili hanno ricevuto la telefonata di un signore che ha trovato a Casina una mountain bike nuova. «Abbiamo provato a interpellare qualche negozio, ma niente. Magari il furto avviene a Rubiera... e il recupero a Sant’Ilario».