CANOSSA. Quaranta minuti di frasi in dialetto gli hanno permesso di venire assolto dalla pesante accusa di tentato omicidio, che è stata derubricata in tentate lesioni perché le frasi in siciliano captate nelle intercettazioni e fatte tradurre dal giudice, hanno reso chiaro che l’imputato Paolo Vinci non voleva veramente uccidere il rivale. Una vicenda giudiziaria particolare, su cui pendeva anche lo spaccio di droga. La procura ha richiesto nei confronti di Vinci una pena di 12 anni per il tentato omicidio.
Lo spaccio e la violenza privata hanno portato - in continuazione - la pena a 14 anni, da ridursi di un terzo per il rito abbreviato, che li aveva portati a 9 anni e 8 mesi per tutte le imputazioni. Ma la sentenze emessa ieri dal giudice per l’indagine preliminare Dario De Luca ha derubricato il tentato omicidio in tentate lesioni e condannato l’uomo per lo spaccio e la violenza privata, che gli è valso comunque 5 anni e 10 mesi di condanna. Tutto è iniziato il 22 giugno 2019 da una brutale aggressione, avvenuta a bordo di un’auto ferma lungo la provinciale Val d’Enza, a metà strada tra San Polo e Castelnovo Monti.
«Quei dialoghi li ho ascoltati tutti – ha affermato l’avvocato Liborio Cataliotti – Conosco bene quel dialetto, mio padre era siciliano, e non ho ravvisato elementi a sostegno della ricostruzione dell’accusa». Tesi poi accolta dal giudice sulla base delle traduzione di quei dialoghi, effettuate da un esperto.