REGGIO EMILIA. Quattro note pizzerie reggiane sono sotto pressione. E secondo quanto “filtra” dietro a queste minacce a colpi di pistola d’intimidazione e “pizzini” lasciati sulla porta dei locali con richieste estorsive di denaro vi sarebbe un’unica “mente”. Un progetto criminale che avrebbe un unico modo di operare secondo quanto ricostruito dagli inquirenti.
Raffiche di revolver .Partiamo dagli spari nel cuore della notte: sei colpi contro la porta a vetri della pizzeria “La Perla” a Cadelbosco Sopra (nella notte fra il 31 gennaio e il primo febbraio), cinque colpi contro l’ampia vetrata della pizzeria “Piedigrotta 3” in via Emilia Ospizio a Reggio Emilia (nella notte fra mercoledì e giovedì). Ebbene, a parte il simile orario in cui i malviventi sono entrati in azione (fra l’una e le quattro della notte), i primi accertamenti balistici parlerebbero di uno stesso revolver che ha sparato (non sarebbero stati trovati bossoli e per la rapidità della raffica con relativa fuga, non è pensabile che quei bossoli siano stati recuperati da chi ha fatto fuoco). Gente armata che a Cadelbosco Sopra ha sparato transitando in macchina per poi ripartire a tutto gas, mentre nel caso del “Piedigrotta 3” la sventagliata di proiettili è stata esplosa da una moto.
Pizzini, scotch e guanti. Che dietro a questa cupa vicenda vi sia una sola mano lo “dice” anche l’altra faccia di questi avvertimenti, cioè i bigliettini: sono stati “recapitati” oltre alle due pizzerie crivellate di colpi, anche al “Piedigrotta 2” (di via Emilia Ospizio) e al “Paprika” (di via Edison). Anche su questo versante c’è coincidenza di modalità. Si tratterebbe di fogli che a mo’ di “pizzini” sono stati appiccicati alla porta delle quattro pizzerie prese di mira. Dietro al foglio lo scotch per attaccare il messaggio. Non vi sarebbero impronte digitali su quei “pizzini” il che dovrebbe significare due cose: la prima che chi ha agito l’ha fatto usando dei guanti, la seconda che chi mette questi avvertimenti non vuole lasciare tracce perché pregiudicato e, quindi, schedato dalle forze dell’ordine. Anche una sola impronta l’incastrerebbe.
Lerichieste di soldi. In un italiano sgrammaticato – ma non è escluso che questo aspetto del contenuto dei “pizzini” sia studiato ad arte – la richiesta di soldi, mille euro al mese, altrimenti sono guai... C’è, quindi, un filo conduttore che lega i quattro bigliettini “inviati” alle relative pizzerie: il pizzo. Proiettili e filmati delle telecamere di videosorveglianza sono le prime “armi” in mano ai carabinieri (indagano sul caso di Cadelbosco Sopra) e alla polizia (mobilitata per gli altri tre avvertimenti in città). Tutto ciò lascia pensare che sia sinonimo di azioni in stile mafioso, ma allo stesso tempo non convince tanta spettacolarizzazione che mal si associa con il silenzio impenetrabile che copre le estorsioni messe in atto dai clan. E se questi raid fossero un depistaggio? O l’agire di uno squilibrato che vuole solo destabilizzare la nostra provincia, oltretutto all’inizio della “cavalcata” che porterà alle elezioni amministrative?